Corte di cassazione – Sezione V penale – Sentenza 15 luglio 2013 n. 30502. Costituisce reato per il dirigente accusare pubblicamente un dipendente di essere responsabile del cattivo andamento dell’azienda in quanto “ci mette tutta la volontà perché le cose non vadano bene”. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 30502/2013, censurando sotto il profilo della continenza e della pertinenza (il dipendente era stato accusato anche di danneggiamenti alle auto senza alcuna prova) il comportamento del dirigente. Promossa quindi la sentenza della Corte di appello che aveva considerato “prive del carattere della continenza … le accuse …, siccome fatte pubblicamente, in modo perentorio e con l’utilizzo di espressioni eccessive, che non servivano a richiamare il dipendente alle sue responsabilità, ma ad esporlo alla disapprovazione e al ludibrio dei colleghi (“Se qualcuno riceve la macchina sfregiata … lei è uno di quelli che è considerato sotto incriminazione”; “lei è uno dei grandi contribuenti degli insuccessi che ha l’azienda”; “è giusto che i suoi colleghi sappiano se quello che succede non va bene è anche perché P… ci mette tutta la sua volontà perché non vadano bene”); mentre la “pertinenza” delle espressioni relative al danneggiamento delle autovetture è esclusa in radice dalla sua gratuità, giacché sì trattava si di un problema aziendale, ma arbitrariamente addebitato al P…, in assenza di prova (nemmeno il difensore dell’imputato ha potuto argomentare sul punto) che egli ne fosse l’autore”.