Cassazione Civile Sezione III 27 ottobre 2015 n. 21782: pur se oggetto di forti critiche in dottrina, essendosi il sistema tabellare ritenuto lesivo della dignità umana, da epoca risalente il giudice fa ricorso all’ausilio di tabelle, anche laddove non imposto dalla legge.
La Corte di Cassazione offre un iter motivazionale nel criterio da adottare nella liquidazione del danno non patrimoniale, ponderando bene i rischi che si possano correre laddove non vengano osservati limiti e salvaguardate esigenze di carattere risarcitorio. Deve essere innanzitutto rispettata l’equità, nel significato di adeguatezza e di proporzione, assolvendo essa alla fondamentale funzione di garantire l’ìntima coerenza dell’ordinamento, assicurando che casi uguali non siano trattati in modo diseguale, con eliminazione delle disparità di trattamento e delle ingiustizie, deve essere idonea a consentire di addivenire ad una liquidazione che sia equa e congrua. Per essere equa, la quantificazione del danno deve essere adeguata e proporzionata, in considerazione di tutte le circostanze concrete del caso specifico.
Ulteriore cautela è non consentire che la liquidazione avvenga in termini puramente simbolici o irrisori, ma l’esigenza della tutela impone anche di evitarsi duplicazioni risarcitorie. In ordine alla quantificazione di tale danno, va esclusa la possibilità di applicarsi in modo “puro” parametri rigidamente fissati in astratto, giacché non essendo in tal caso consentito discostarsene, risulta garantita la prevedibilità delle decisioni ma assicurata invero una uguaglianza meramente formale, e non già sostanziale.
Del pari inidonea, osserva il Supremo Collegio, sarebbe una valutazione rimessa alla mera intuizione soggettiva del giudice e quindi, in assenza di qualsiasi criterio generale valido per tutti i danneggiati a parità di lesioni, sostanzialmente al suo mero arbitrio (Cass. 23/1/2014 n. 1361). Perché la liquidazione equitativa non risulti arbitraria, è necessario che spieghi le ragioni del processo logico sul quale essa è fondata, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo adottato (Cass. 20/5/2015 n. 10263; Cass. 30/5/2014, n. 12265; Cass. 19/2/2013 n. 4047; Cass. 4/5/1989, n. 2074; Cass. 13/5/1983, n. 3273), al fine di consentire il controllo di relativa logicità, coerenza e congruità. Incongrua è pertanto la motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella che 1’ambiente sociale accetta come compensazione equa (Cass. 20/5/2015 n. 10263).
Pur se oggetto di forti critiche in dottrina, essendo il sistema tabellare ritenuto lesivo della dignità umana, da epoca risalente il giudice, anche laddove non imposto dalla legge, fa ricorso all’ausilio di tabelle. Le Tabelle di Milano sono andate nel tempo assumendo e palesando una “vocazione nazionale”, in quanto recanti i parametri maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto dell’equità valutativa e ad evitare (o quantomeno ridurre) – al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali – ingiustificate disparità di trattamento che finiscano per profilarsi in termini di violazione dell’art. 3 Cost., comma 2: incongrua è la motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l’adozione dei parametri esibiti dalle dette Tabelle di Milano consente di pervenire.
Avv. Carmine Lattarulo