Cassazione penale , sez. V, sentenza 05.08.2013 n° 33804 . L’aver afferrato per i capelli la donna per costringerla a rimanere con lui nell’autovettura costituisce esercizio di violenza fisica che, limitando significativamente la libertà fisica e morale della persona, è idonea ad integrare il reato previsto dall’art. 610 c.p. anche se la vittima, dopo la denuncia, abbia sposato il suo aggressore, ed abbia ridimensionato il fatto. E’ quanto emerge dalla sentenza 5 agosto 2013, n. 33804 della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione. Il caso vedeva un uomo invitare la fidanzata a salire in auto, per poi percuoterla e minacciarla con un coltello; quando la donna tentò di scendere, l’uomo, intenzionato a continuare il litigio, le impediva di allontanarsi, coartandone la libertà. Durante il dibattimento la persona offesa negava di essere stata costretta a restare nell’autovettura contro la propria volontà, circostanza che avrebbe dimostrato un travisamento della prova della commissione del reato di violenza privata. Analoghe considerazioni venivano effettuate in ordine al reato di minaccia laddove, sempre in dibattimento, la donna negava di essere stata minacciata dal fidanzato. Al di là del ritenuto utilizzo del contenuto descrittivo della querela, la dichiarazione originaria della donna costituiva una ricostruzione sufficiente per affermare la responsabilità penale del prevenuto per i delitti contestati, atteso che la condotta descritta aveva limitato significativamente la libertà fisica e morale della persona, se si considera come anche la sorella della vittima aveva testimoniato e confermato la situazione di accesa litigiosità in cui si inseriva la vicenda. Di conseguenza, “la rappresentazione edulcorata e parziale della vicenda processuale contenuta nel ricorso non era dunque idonea a scardinare la chiara e puntuale ricostruzione operata dai giudici di merito in ordine all’integrazione degli elementi costitutivi dei reati di violenza privata e minaccia aggravata“. E’ vero che questa sequenza non viene riportata nella sentenza d’appello, ma secondo i giudici “sovviene, in questo caso, il principio di diritto affermato da questa Corte, in base al quale, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo“.