Corte di cassazione – Sezione III civile – sentenza 19 dicembre 2013 n. 28469. L’inquilino deve essere risarcito dal proprietario che ha ottenuto lo sfratto, adducendo un uso personale, ed a distanza di anni lo conserva libero. Non rilevano i lunghi lavori di ristrutturazione, aggravati dalla presenza di vincoli della Sovrintendenza. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 28469/2013, rigettando il ricorso di un proprietario contro il precedente conduttore, un avvocato che utilizzava l’appartamento come studio e che dopo anni avendo accertato che l’appartamento non era mai stato occupato aveva adito le vie legali ottenendo ragione. Come ricostruito dalla Corte territoriale di Bologna il proprietario, ora ricorrente, <<aveva ottenuto la restituzione dell’immobile in base alla previsione di cui all’art. 29, primo comma, lettera a), della legge n. 392 del 1978, siccome destinato ad abitazione del proprio figlio, e non in previsione dell’ipotesi di ristrutturazione di cui alla lettera a) del medesimo art. 29”. <<Tale particolare – osserva la Cassazione – assume uno speciale rilievo in considerazione delle censure contenute nell’odierno ricorso>>. Spiega la Suprema corte che le sanzioni previste dall’art. 31 della legge n. 392 del 1978 non sono connesse ad un criterio di responsabilità oggettiva, o secondo una presunzione assoluta di colpa, <<con la conseguenza che non sono applicabili qualora la tardiva destinazione dell’immobile sia in concreto giustificata da esigenze ragioni o situazioni meritevoli di tutela e non riconducibili al comportamento doloso o colposo del locatore stesso>>. Tuttavia <<è altrettanto pacifico – continua la sentenza – che l’onere del superamento di tale presunzione grava sul locatore>>. Nella specie, nulla di ciò è stato dimostrato. La Corte bolognese, infatti, ha accertato che «al momento di proposizione del ricorso il figlio del locatore non risultava ancora abitare nell’immobile, come univocamente desumibile dal certificato anagrafico e dall’intestazione delle utenze, oltreché dalla mancanza di qualsiasi emergenza probatoria» di segno contrario; ed ha giustamente ritenuto del tutto irrilevante la circostanza, addotta per cui i lavori di restauro dell’immobile si erano protratti «fino a due o tre anni prima». Infatti sarebbe comunque passati oltre sei anni alla data di introduzione del giudizio, per cui <<è evidente che, ove pure i lavori si fossero protratti fino a due o tre anni prima, il locatore non avrebbe ugualmente dimostrato di aver rispettato il termine semestrale di cui all’art. 31 della legge n. 392 del 1978>>. © RIPRODUZIONE RISERVATA