Cassazione penale, sez. III, sentenza 14.11.2013 n° 45648. La fattispecie di atti persecutori può configurarsi anche nel caso di reciprocità di atti molesti tra la vittima ed il reo. Il caso vedeva un uomo essere condannato, in primo e secondo grado, per il reato di atti persecutori, ex 612 bis cp, sia sulla base delle condotte reiteratamente poste in essere , sia in merito al comprovato stato di ansia procurato dall’aggressore alla vittima a causa delle minacce e dei pedinamenti nei confronti di quest’ultima. La Corte territoriale riteneva sussistente il reato anche nel caso di reciprocità delle condotte moleste, intimidatorie, aggressive o petulanti: da ciò il ricorso per Cassazione con il quale l’uomo lamenta, tra gli altri, l’inosservanza della legge penale con riferimento alla reciprocità delle condotte, inidonea ad integrare il reato. Recente giurisprudenza di legittimità afferma che la reciprocità dei comportamenti molesti non escluda la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo, in tale ipotesi, sul giudice, un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza del danno, ovvero dello stato d’ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l’incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita (Cass. pen., Sez. V, 5 febbraio 2010, n. 17698). Il reato di atti persecutori prevede eventi alternativi, la realizzazione dei quali è idonea ad integrarlo: si richiede la sussistenza di un comportamento reiteratamente minaccioso o comunque molesto dell’agente dal quale derivi, per il destinatario della minaccia o della molestia, quale ulteriore evento dannoso, un perdurante stato di ansia o di paura, oppure un fondato timore dello stesso per l’incolumità propria o di soggetti vicino, oppure, ancora, il mutamento necessitato delle proprie abitudini di vita. Di estrema importanza appare la necessità a che il giudice effettui una accurata indagine diretta ad accertare in quali termini le condotte persecutorie vengano poste in essere ed all’interno di quale contesto ciò avvenga: se le condotte maturano in un ambito di litigiosità tra due soggetti, tale da evocare una posizione di sostanziale parità, non può parlarsi di condotta persecutoria nei termini richiesti dalla fattispecie astratta, la quale fa riferimento ad una posizione sbilanciata della vittima rispetto all’autore dei comportamenti vessatori o intimidatori. Secondo gli ermellini “il termine reciprocità non vale, dunque, ad escludere in radice la possibilità della rilevanza penale delle condotte persecutorie ex art. 612 bis cp, occorrendo che venga valutato con maggiore attenzione ed oculatezza, quale conseguenza del comportamento di ciascuno, lo stato d’ansia o di paura della presunta persona offesa, o il suo effettivo timore per l’incolumità propria o di persone a lei vicine o la necessità del mutamento delle abitudini di vita”. Occorre verificare, continuano i giudici, se, nell’ipotesi di reciprocità delle minacce, vi sia una posizione di ingiustificata predominanza di uno dei due soggetti, tale da consentire di qualificare le iniziative minacciose e moleste come atti aventi natura persecutoria, e le conseguenti reazioni della vittima come esplicazione di un meccanismo di difesa diretto a sopraffare la paura. Nella fattispecie, la Suprema Corte esclude che si trattasse di una situazione di effettiva reciprocità, sebbene sussistessero determinati episodi nei quali la vittima avrebbe affrontato l’imputato con fare aggressivo, tale, però, da non incidere sulla sua situazione di stress rimasta inalterata.