Corte di cassazione – Sezione III penale – Sentenza 8 ottobre 2013 n. 41486. Confermata la condanna, a sei anni e sei mesi di reclusione, senza alcuno ‘sconto’ di pena a carico di un giovane marito che per tre anni aveva obbligato la moglie a continui rapporti sessuali, più volte al giorno. Persino la mattina del ricovero della donna in ospedale, in attesa del parto con taglio cesareo, l’uomo aveva preteso da lei un “rapporto sessuale completo”. Anche per questo la III Sezione penale della Suprema Corte, sentenza 41486/2013, ha respinto la richiesta di concessione delle attenuanti generiche avanzate dal marito violentatore che voleva far valere il suo stato di incensuratezza per ottenere una riduzione di pena. Senza successo, inoltre, Antonio B. ha anche provato a sostenere che il suo ‘comportamento’ non era poi così grave da meritare una condanna tanto ‘pesante’ dato che c’erano stati anche rapporti consenzienti. Ma per i supremi giudici la condanna inflitta ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto con riferimento “a tutte le modalità” ostative alla “ravvisabilità” dell’attenuante del fatto di “minore gravità”. Rileva la Cassazione che – in questa vicenda avvenuta in Calabria – un’ipotesi del genere non è assolutamente configurabile in quanto la “condotta criminosa” è stata caratterizzata da una “pluralità di abusi sessuali, compiuti anche durante la gravidanza e in prossimità del parto, in un incalzante contesto di sopraffazione e di pieno annullamento della libertà di autodeterminazione della vittima, che doveva soggiacere alle morbosità dell’uomo”. Il ‘regime coniugale’ instaurato da Antonio B. (42 anni) si è protratto dal dicembre del 2004 al giugno del 2007, quando la moglie ha trovato il coraggio di denunciarlo, chiederne l’allontanamento dalla casa e intraprendere l’iter della separazione. Anche in primo grado il Tribunale di Vibo Valentia aveva condannato l’imputato alle stessa pena poi confermata dalla Corte di Appello di Catanzaro il 21 gennaio 2013, e adesso dalla Suprema Corte.